Mutamenti nel quadro mondiale.
Trump, la Ue, l’Italia
Andrea Catone
Prima e dopo l’elezione di Trump assistiamo ad un duro scontro interno alla classe dominante Usa. È fallito, a quasi 30 anni dalla fine dell’Urss, il “progetto americano per il nuovo secolo” di essere la superpotenza incontrastata nel mondo (unipolarismo). La straordinaria ascesa della Cina, la riorganizzazione della Russia sotto la direzione di Putin, l’emergere di nuovi soggetti sulla scena mondiale ne determinano il fallimento. Trump cambia linea, non per accettare però un mondo veramente multipolare, ma nel tentativo di affermare su una base più solida il primato americano. Non smantella, ma rafforza il complesso militar-industriale (aumenta la spesa per il 2019), né il sistema di basi e di alleanze militari sotto stretto controllo USA, in primis la NATO. E, insieme, punta al rilancio della base industriale, indebolitasi negli ultimi decenni, con una politica protezionistica e la dura guerra commerciale non solo contro la Cina, ma anche contro i paesi capitalistici – dalla Ue al Canada al Giappone – che hanno costituito dopo il 1945 il “blocco occidentale”. Trump vuole rompere ogni organismo di cooperazione internazionale, in modo da trattare da maggiori posizioni di forza con ogni singolo paese. La Ue vive oggi una crisi profonda politica, morale, di progetto. In questa crisi si inserisce ora l’azione di Trump apertamente contro la Ue. L’implosione della Ue avrebbe oggi un forte segno di destra – come mostra in Italia la forte ascesa della Lega – e porrebbe ogni singolo paese europeo ancor più sotto il controllo USA.
Il ritorno al fascismo del capitalismo contemporaneo
Samir Amin
Non è un caso che il titolo stesso di questo contributo colleghi il ritorno del fascismo sulla scena politica con la crisi del capitalismo contemporaneo. Il fascismo non è sinonimo di un regime di polizia autoritario che rifiuta le incertezze della democrazia parlamentare elettorale. Il fascismo è una particolare risposta politica alle sfide con cui la gestione della società capitalistica deve confrontarsi in circostanze specifiche.
Rivoluzione o decadenza?
Pensieri sulla transizione tra i modi di produzione in occasione del bicentenario della nascita di Marx
Samir Amin
A partire da Marx ed Engels, attraverso le esperienze della socialdemocrazia tedesca e della rivoluzione russa, il movimento operaio e socialista ha sostenuto che una serie di rivoluzioni si sarebbero verificate a iniziare dai paesi a capitalismo avanzato. Tuttavia, negli ultimi 75 anni la storia ha modificato radicalmente lo scenario: oggi, la prospettiva rivoluzionaria sembra molto remota nel centro del sistema economico mondiale e più probabile nelle periferie meno sviluppate. Un’analisi del sistema imperialista contemporaneo e delle precedenti epoche deve fondarsi sul concetto di sviluppo ineguale e sullo studio comparato della crisi e della transizione tra modi di produzione. Dalla caduta dell’impero romano all’attuale crisi del sistema capitalistico, nello studio delle transizioni da un modo di produzione all’altro nelle diverse epoche, si può tracciare una linea di demarcazione tra fasi storiche “di decadenza” e “rivoluzionarie”. La rivoluzione socialista con cui abbiamo a che fare nella nostra epoca, che nasce dalle periferie ma da cui il centro non è necessariamente immune, è di tipo decadente o rivoluzionario?
A Samir Amin
Andrea Catone
Riflessioni sulla Cina dopo il 19° Congresso del Partito Comunista
Samir Amin
La Cina è impegnata in un doppio progetto che mira, da un lato, a costruire un sistema produttivo industriale completo, coerente e articolato sul rinnovamento dell’agricoltura contadina e, dall’altro, cerca di trarre vantaggio dal suo essere inserito nella globalizzazione capitalista contemporanea. Questo progetto è conflittuale per natura, ma se il potere decisionale del Pcc e dello Stato prende le misure lucidamente, diventa possibile superare la contraddizione in questione. Ma per ciò è necessario che il potere conservi e rafforzi la sua capacità di controllare l’inserimento della Cina nella globalizzazione imperialista e che rispetti e anche favorisca le capacità di resistenza delle classi popolari alle devastazioni del capitalismo. Al riguardo, la lettura dei documenti del 19° Congresso riassicura l’autore.
Il socialismo cinese entra in una nuova era
Appunti sugli insegnamenti marxisti nel rapporto politico di Xi Jinping al 19° Congresso del Pcc
Francesco Maringiò
Si apre una fase nuova per la storia della Cina e dello sviluppo dell’ideologia cardine del Pcc, il socialismo con caratteristiche cinesi. La relazione di Xi segna la svolta teorica del 19º Congresso Nazionale. “La Cina continuerà a portare avanti un progetto di sviluppo che mette l’essere umano al centro, ponendosi come obiettivo strategico la ricerca di una vita sempre migliore della sua popolazione”. Xi parla un linguaggio di forte valenza e capacità di attrazione anche all’interno dell’Occidente: esiste un’alternativa al capitalismo liberale che causa insicurezza per la gente comune in tutto il mondo. La prima svolta è in economia, dove si passa da una crescita impetuosa del Pil ad un nuovo modello definito il “new normal” (xin changtai). È un cambio di paradigma, la conversione da una produzione orientata alla quantità ad una orientata alla qualità e all’innovazione. La sfida è quella di trasformarsi da paese “imitatore” a paese “innovatore”. La seconda svolta sta nelle riforme politiche. Con la lotta alla corruzione si è reso il partito più forte, mettendolo al centro di tutto, e si è rinsaldato il rapporto con le masse. “Il tema del Congresso è: rimanere fedeli alla nostra aspirazione originaria e tenere ben ferma la nostra missione”.
Il socialismo cinese nella Nuova Era e la sua contraddizione principale
Gaio Doria
Il 19° Congresso del Partito Comunista Cinese assume un’importanza storica senza precedenti. La conquista della posizione della seconda economia più grande del mondo, ha trasformato la Cina in una potenza industriale. L’età dell’arretratezza delle forze produttive è definitivamente terminata. Per questo motivo, Xi Jinping ha teorizzato: “Quello che stiamo affrontando ora è la contraddizione tra uno sviluppo squilibrato e inadeguato e i crescenti bisogni del popolo di una vita migliore”. La ridefinizione della contraddizione principale della Cina può essere il punto più importante del 19° Congresso.
Centralità della popolarizzazione nel marxismo con caratteristiche cinesi
Zhang Boying
Tra la popolarizzazione del marxismo e il marxismo con caratteristiche cinesi c’è un legame inscindibile. La ricerca accademica in questo settore è già iniziata, ma deve essere ancora approfondita. Il presente articolo prende la popolarizzazione del marxismo come punto di partenza per analizzare il marxismo con caratteristiche cinesi e approfondire la relazione tra i due. Gli intellettuali e i comunisti cinesi inizialmente accettarono il marxismo, che ebbe origine in Occidente, al fine di sopravvivere e rovesciare le “tre montagne” dell’imperialismo, del feudalesimo e del capitalismo burocratico, che opprimevano il popolo. Durante la rivoluzione popolare, il Pcc ha gradualmente compreso che copiare la teoria marxista alla lettera e senza considerare le condizioni nazionali cinesi non sarebbe stato possibile. I principi universali del marxismo devono essere combinati con la realtà concreta del paese perché la rivoluzione possa avere un esito positivo. Il marxismo con caratteristiche cinesi ha scritto un nuovo capitolo della teoria marxista. La popolarizzazione del marxismo cinese contemporaneo deve anche avere una prospettiva globale. La diffusione dei risultati teorici del marxismo cinese contemporaneo arricchisce le teorie generali marxiste.
Indimenticabile la mia Unione Sovietica…
Consigli metodici a propagandisti, docenti, relatori
Vladimir F. Gryzlov
Il saggio ripercorre la storia dell’URSS cominciando dalla sua nascita all’indomani della rivoluzione d’ottobre. Appena nata, l’Unione Sovietica dovette far fronte ad una grave eredità: quella della questione nazionale, che fin dall’inizio fu cavalcata dalle borghesie nazionaliste per minare il neonato potere sovietico e frammentare il paese. La costituzione e la gestione delle diverse repubbliche e dei diversi popoli all’interno dell’Unione richiese uno sforzo creativo e il paese conobbe uno sviluppo dinamico all’insegna dell’amicizia tra i popoli e dell’unità internazionale, che culminarono nello sforzo congiunto della Grande Guerra Patriottica. La persistenza della questione nazionale fece parte del complesso quadro di crisi e distruzione dell’Unione Sovietica nel 1991 e nei decenni successivi. L’andata al potere dei “democratici” ha distrutto lo Stato dell’Unione anche attraverso cambiamenti socio-economici e il dilagare del mercato borghese ha favorito la nascita di mercati nazionali e regionali, mentre si procedeva alla disgregazione verticale degli organismi statali e delle organizzazioni sociali. Oggi comprendere la direzione nello sviluppo delle relazioni nazionali sul territorio dell’ex URSS è di fondamentale importanza per elaborare la strategia dei partiti comunisti e delle organizzazioni popolari patriottiche. Sono due le tendenze più significative: quella verso la reintegrazione (la ricostituzione dello spazio che fu l’URSS) e quella verso la disintegrazione. Nel movimento di massa per la reintegrazione il ruolo principale è svolto dal proletariato, per questo sono necessari il coinvolgimento e la massima attenzione dei partiti comunisti uniti nell’Unione dei partiti comunisti-PCUS.
Le cause della disintegrazione dell’URSS: un bilancio della discussione in Russia
Dmitrij Georgevič Novikov
La disintegrazione dell’URSS è stata resa possibile dalla combinazione di numerosi e variegati fattori. È diffusa l’opinione, secondo cui il declino dello stato sovietico sia dovuto al modello economico basato sull’economia pianificata e su principi di gestione dirigistici. Si afferma che l’economia dell’URSS non abbia retto alla concorrenza dell’Occidente e che verso la metà degli anni Ottanta essa avesse dato fondo alle sue risorse. Tale conclusione sulla mancanza di vitalità dell’economia nazionale socialista non è confermata da dati oggettivi. Assai più fondata è l’idea che la causa fondamentale della crisi siano state le poco meditate riforme economiche promosse da M. Gorbačëv negli anni 1985-1990. La causa più importante della dissoluzione dell’Unione Sovietica fu l’azione sovversiva dei servizi segreti occidentali. L’infiltrarsi delle contraddizioni tra le nazioni dell’URSS divenne una delle cause principali della disintegrazione.
Le prefazioni italiane del Manifesto
Colpo d’occhio sullo sviluppo del marxismo in Italia
Francesco Galofaro
L’articolo presenta un’indagine su alcune storiche prefazioni italiane al Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels. Lo scopo è quello di sottolineare come, in ogni periodo storico, la prefazione tracci un bilancio sulla storia del movimento operaio, attualizzando il Manifesto e orientando il lettore nel contesto del dibattito marxista dell’epoca e delle conseguenti scelte politiche. A partire dalla prima prefazione anarchica di Pietro Gori, il saggio prende in esame la prefazione di Engels, quella di Labriola, e poi le letture di Togliatti, Zangheri, Colletti, Sanguineti, Hobsbawn, Losurdo e Bertinotti. Secondo la nostra interpretazione, dopo la nascita di ogni nuovo movimento politico (forze anarchiche, socialiste, comuniste, di nuova sinistra, post-coloniale e persino neoliberiste) una rilettura del Manifesto è funzionale alla ricerca (o all’invenzione) di radici. Ciò avviene sottolineando ogni volta le caratteristiche ancora attuali della Weltanschauung di Marx ed Engels: durante l’ascesa delle forze dei lavoratori, fino agli anni Cinquanta, le prefazioni si focalizzavano sul loro potere di trasformare il mondo; dopo la caduta dei principali stati socialisti, le forze socialdemocratiche abbandonano Marx, mentre i movimenti liberisti lo riscoprono come un economista e le forze radicali lo ritraggono come profeta della globalizzazione e della crisi.
Attualità dell’eredità di Marx
Che cosa possiamo dire di nuovo sulla Scienza dal punto di vista del Materialismo Storico di Marx?
Angelo Baracca
È interessante considerare il punto di vista del materialismo storico sulla scienza e sul rapporto tra l’essere umano, come essere sociale, e la natura. Innanzitutto occorre rilevare il rifiuto engelsiano di considerare la natura come un mero “serbatoio” inerte di risorse da sfruttare; in secondo luogo, è necessario rifiutare la tesi della presunta neutralità della scienza e anzi riconoscere e anzi i suoi legami strutturali con gli interessi della classe capitalistica. È importante riprendere una critica integrale della scienza, che rifiuti i concetti astratti di “progresso” e di “sviluppo” della scienza e renda ragione di come piuttosto le svolte epistemologiche e scientifiche siano sempre legate alle trasformazioni dei rapporti di produzione, alla necessità della classe capitalista di massimizzare i profitti attraverso nuove acquisizioni tecniche, di sfruttare con la massima efficacia la classe operaia. La Scienza ha evidentemente accresciuto il potere dell’Uomo sulla Natura, ma sempre in stretta complicità con gli interessi del Capitale contro il lavoro. Questo asservimento strumentale della “corporazione” o “casta” scientifica agli interessi delle classi imprenditoriali dominanti deve essere sottoposto a critica con gli strumenti del materialismo storico, e ciò è di massima importanza in un momento storico in cui il ciclo produttivo capitalistico ha accresciuto come non mai la sua nocività verso la natura e la salute umana.
Domenico Losurdo.
Filosofo della storia, geografo dell’anticolonialismo
Marcos Aurélio da Silva
La ricca opera di Losurdo continuerà a illuminare la lotta per il socialismo
Luciana Santos, Renato Rabelo
La scomparsa di Domenico Losurdo: una perdita enorme per il pensiero critico
Salvatore Tinè